Il Blackburn, per esempio, ha adottato le maglie a strisce basate sulla squadra degli ex allievi del Malvern College, una delle scuole dove si era sviluppato il calcio. Gli albori degli Ultras, in Rossoblu Magazine – Anno 2 n° 17, Potenza, 3 maggio 2015, pp. Il suo punto di forza era la capacità di inarcarsi all’indietro durante l’esecuzione del tuffo, in questo modo riusciva a raggiungere palloni impensabili strozzando parecchie grida di gioia nella gola degli attaccanti, Pelé ne saprà qualcosa! Era sgattaiolato fuori dalle transenne e in pochi passi veloci l’aveva raggiunto e abbracciato. La maglia del Siracusa fino al dopoguerra, di colore azzurra, era contraddistinta da una evidente aderenza al corpo (ma così lo erano tutte le maglie di quel periodo), mentre il collo a V era abbastanza tondeggiante, i pantaloncini bianchi rispetto ai giorni d’oggi, erano notevolmente più corti, i calzettoni per la maggior parte lo stesso colore della maglia, alle volte presentavano un colore azzurro più intenso. Un altro cross, un altro salto nel cielo, e il pallone finirà alle spalle di Barthez, con Materazzi pronto a esultare come corpo iniziale del corpo unico che i giocatori formano nell’esplosione di gioia dell’abbraccio. Tale scelta della FIGC fece seguito a quella della Federazione calcistica del Brasile, che nel 1970 utilizzò le tre stelle per celebrare i tre mondiali vinti dalla nazionale Verdeoro.

A diciannove anni è titolare ai Mondiali del Cile e sembra destinato a superare ogni record di presenze. Gli anni dopo il Messico regalano il Rivera migliore anche alla Nazionale dove Mazzola accetta il ruolo di ala tattica, se non altro di numero. Ma con la Nazionale c’è sempre qualche tensione o qualche intoppo, il suo quarto Mondiale, nel 1974, comincia con un suo gol che scaccia l’incubo della Corea materializzatosi dopo il gol del vantaggio di Haiti, poi, contro l’Argentina, improvvisa arriva l’ultima recita. Nessuno, prima di lui, ha avuto la sua efficace eleganza negli ultimi venti metri, la sua intuizione nel creare, dal nulla, un tocco smarcante, una giocata che può apparire spettacolare, ma è solo la più funzionale al gioco in quel momento. Ed “al Gianni” i tifosi del Milan, che avevano prima superato un cordone di poliziotti e, fino a quel momento, ignorato ogni ingiunzione e minaccia, danno retta, docilmente, perché in quei vent’anni trascorsi fra quelle foto, Gianni Rivera è diventato “il Milan”.

In quei vent’anni, Rivera ed il “suo” Milan, ne hanno passate di tutti i colori: grandi vittorie, cocenti delusioni, furiose polemiche con la classe arbitrale, con la Federazione, con la stampa specializzata, e per i tifosi del Milan, Rivera, è diventato il punto di riferimento, il simbolo di una continuità. Nella conferenza stampa prima della partita, Alf Ramsey, l’allenatore dell’Inghilterra ad un giornalista che gli chiede quali siano i quattro più forti calciatori italiani, risponde serio -“Rivera, Rivera, Rivera e Rivera”-. Nasce un dualismo alimentato dalla stampa che si trasforma in uno scontro ideologico, quando, dopo una partita di qualificazione ai mondiali d’Inghilterra contro la Polonia, Rivera rilascia dichiarazioni sul modulo troppo rinunciatario che vede spesso Picchi, il libero della Grande Inter, solo all’indietro senza partecipare al gioco. L’opinione pubblica insorge, ma contro la Germania, Rivera parte ancora dalla panchina. La scelta è di Fabbri, che con l’Inter ha il dente avvelenato per via di una panchina nerazzurra sfumata anni prima, ma la colpa diverrà di Rivera. Rivera e gli arbitri, un “tormentone” che dura per anni. Nasce lo slogan “Viva Rivera, Mandelli in galera”, che in anni di autunni particolarmente “caldi”, ed essendo Walter Mandelli un importante esponente di Confindustria, assume anche connotati politici.

In realtà è una scusa comoda per nascondere una scelta tecnica, si arriva allo scontro fra Rivera, Walter Mandelli e Ferruccio Valcareggi. Un gioco col quale l’Inter vince tutto, un calcio che Rivera, sul quale sembra ovvio costruire la squadra del futuro non ama. Poi si riesce pure a tenere palla un po’ di più, con Stekelenburg che non ha nessuna fretta a cincischiare passandosela coi difensori (anche questo fa brodo nella battaglia per assicurarsi il controllo del tempo oltre che dello spazio, le due dimensioni fondamentali del gioco), ma soprattutto riesce ad attivare Kuijt e Robben in zone più avanzate. In effetti l’apporto di Gianni Rivera al gioco è esclusivamente offensivo, infatti la sua presenza è tanto gradita alle punte, certe di avere rifornimenti, quanto poco lo è ai difensori ed ai faticatori del centrocampo, altrettanto certi di trovarsi spesso un avversario in più. Se dribbla un avversario è solo perché in quel momento giudica che sia la cosa più utile al gioco della squadra. Perché Gianni Rivera non cerca mai il “colpo ad effetto”, i suoi colpi di tacco servono solo a smistare il pallone nel modo più semplice e lineare, non ad irridere l’avversario. L’anno seguente, nel derby lombardo con l’Atalanta, dopo il furto dello striscione ai “rivali” bergamaschi, seguirono violenti scontri in campo e per tutto l’arco della giornata, con numerosi feriti tra le due tifoserie e le forze dell’ordine.